I "PADRI FONDATORI"
L'atteggiamento degli intellettuali nei confronti dei
mutamenti storico-sociali prodotti dalla rivoluzione industriale non fu
univoco.
Alcuni vi colsero un pericoloso attentato ai valori morali e religiosi
tradizionali, altri, invece, un'opportunità straordinaria per il progresso
globale della civiltà. Altri denunciarono i costi umani
spaventosi che l'industrializzazione comportava, auspicando una società in cui
la ricchezza prodotta dal lavoro fosse distribuita con maggiore equità.
Da
queste differenti posizioni nacque un vivace dibattito sulla società e prese le
mosse la sociologia come disciplina autonoma.
COMTE: L'INVENTORE DELLA SOCIOLOGIA
Tra coloro che videro con favore i cambiamenti in atto
legati alla rivoluzione industriale c'è il filosofo Auguste Comte, padre del Positivismo e della sociologia.
Comte ritiene che l'umanità sia giunta a una tappa fondamentale della sua evoluzione,
ovvero al momento dell'affermazione dello spirito scientifico, da lui definito
«positivo».
Per
spiegare e argomentare questa evoluzione, egli enuncia la cosiddetta legge dei tre
stadi, facendo riferimento alla conoscenza umana e al suo tentativo di
spiegare la realtà fisica e sociale.
Secondo questa legge nel corso della
storia il cammino della conoscenza prende le mosse da
uno stadio «teologico», nel quale i fenomeni naturali e storico-sociali vengono
spiegati come il prodotto diretto dell'azione divina.
Nello stadio successivo,
che Comte chiama stadio «metafisico», prevale invece la tendenza a sostituire
gli dei con entità astratte immanenti ai fenomeni e in grado di dirigerne il
corso.
Nello stadio «positivo», quello a cui, secondo Comte, l'umanità è
giunta, l'uomo perviene a
una conoscenza scientifica dei fenomeni, libera da influenze
mitico religiose e dalla vana pretesa di individuare l'essenza profonda delle
cose.
Conoscere scientificamente gli eventi significa infatti sottoporre a
osservazione i fenomeni, individuare tra essi relazioni costanti e infine
formulare una legge.
un approccio
«positivo», secondo Comte, è efficace per affrontare lo studio di ogni realtà
che si offra alla nostra osservazione, è efficace cioè tanto per i fenomeni
naturali quanto per quelli storico-sociali. A questo proposito si parla del
principio del smonismo metodologico° (dal greco mènos, aunos), secondo cui il
metodo scientifico è unico, a prescindere dalla varietà degli ambiti a cui può
applicarsi.
LA SOCIOLOGIA COME FISICA SOCIALE
Comte si rende conto che lo stadio positivo è un traguardo
raggiunto da poche discipline: se da tempo è un'acquisizione scontata per la
matematica e per la fisica, esso fatica invece ad affermarsi nella comprensione
dei fatti storico-sociali.
La sociologia - termine coniato dallo stesso Comte e
della cui nozione si assume la paternità - e rappresenta proprio la conoscenza
positiva dei fatti sociali, cui l'età moderna è chiamata.
Comte sottolinea il
carattere scientifico della nuova disciplina anche attraverso.precise scelte lessicali; essa, viene chiamata fisica sociale e suddivisa in due branche:
-la statica sociale, che mira a
chiarire la struttura del sistema sociale e le relazioni esi-stenti tra le sue
pani;
-la dinamica
sociale, che studia invece lo sviluppo del sistema stesso, ovvero la sua
evoluzione e le trasformazioni che subisce nel tempo.
Poiché la fisica sociale
conosce le leggi che governano i fenomeni sociali, Comte immagina che essa
potrà consentire a politici e legislatori di pianificare scientificamente la
loro attività e di riorganizzare su base razionale la società, contrastando le spinte
disgregatrici in grado di minacciarla.
Il dominio intellettuale e
sociale della scienza, che Comte intravede e che avrà nella tecnologia e
nell'industria la sua espressione operativa, permetterà, secondo lo studioso,
di unire il genere umano sulla base di valori comuni e condivisi, così come un
tempo aveva fatto la religione.
Comte arriva a preconizzare l'avvento di una nuova religione 'laica", in
cui l'Umanità sarà il nuovo "Essere supremo" oggetto di adorazione, e
che al pari di ogni religione avrà i suoi templi, i suoi sacerdoti, perfino i
suoi sacramenti, naturalmente ispirati al culto della scienza e dello spirito
positivo.
MARX: UN'ANALISI STORICO-SOCIOLOGICA
L'intento di Karl Marx, è quello di realizzare
un'analisi globale della realtà e della storia che spazi dalla filosofia
all'economia alla politica, all'interno della quale, tuttavia, trovi spazio
anche una precisa concezione della società.
Marx parte dall'assunto che la
storia umana, al di là di ogni rappresentazione più o meno idealizzata che se
ne può fare, sia prima di tutto un evento materiale, i cui attori sono gli
uomini impegnati nella produzione dei beni necessari al soddisfacimento dei
loro bisogni.
Ogni epoca storica è caratterizzata da un determinato livello di
sviluppo di ciò che Marx chiama «forze produttive», ovvero gli uomini clic
producono e i modi e i mezzi di cui si servono per farlo; a ogni livello di
sviluppo corrisponde una preci-sa configurazione della società, al cui interno
gli individui occupano posizioni diverse, determinate dal rapporto che
intrattengono con la proprietà dei mezzi di produzione ,«rapporti di
produzione». Marx chiama classe sociale ognuna di queste "posizioni", ovvero sono un complesso di individui che si trovano nella stessa posizione sociale rispetto alla proprietà dei mezzi di produzione.
Nell'età contemporanea, in cui si afferma il capitalismo come modo di
produzione - ovvero l'investimento di capitali, cioè di ingenti somme di denaro,
nelle attività produttive dell'industria conflitto contrappone in modo
radicale e drammatico le due classi sociali sorte dalla rivoluzione
industriale: la borghesia, proprietaria dei capitali investiti nell'industria, e il proletariato, la classe operaia
che possiede solo la propria forza lavoro e quella dei figli.
LE CLASSI DOMINANTI E IL DOMINIO SULLE IDEE
La classe dominante esercita il suo potere, secondo Marx, anche sulle idee che circolano nella società in cui opera, perché essa dispone degli strumenti per affermare la propria concezione della realtà. Afferma Marx: «in ogni epoca, le idee dominanti sono sempre state solo le idee della desse dominante» .
La visione del mondo
elaborata dalla desse dominante è in un certo senso 'prigioniera" della
posizione sociale occupata da questa classe e degli interessi che le sono
connessi, e quindi non può essere obiettiva.
Marx chiama ideologia la rappresentazione falsata della realtà, elaborata
dai membri di una certa classe sociale per difendere i propri interessi e il
proprio operato, ma presentata nella forma mistificatoria di una verità
oggettiva e universalmente condivisibile.
Il rovesciamento del dominio
capitalista conseguente alla lotta di classe presuppone quindi anche lo
smascheramento dell'ideologia borghese e l'acquisizione da pane della classe operaia
di una piena consapevolezza di sé e della propria condizione di
sfruttamento.
La
riflessione di Marx sull'ideologia mette in luce l'elemento decisivo da cui si
genera la rappresentazione illusoria e distorta che abbiamo della società: la
tendenza degli uomini a elaborare una visione della realtà condizionata dalla
loro posizione sociale e dagli interessi a essa connessi. Con questa intuizione
Marx offre un contributo importante alla nascita dello studio scientifico
della società.
DURKHEIM: IL PRIMATO DEL SOCIALE SULL'INDIVIDUALE
Per Emile Durkheim (1858-1917) la fonte principale di
questa distorsione è invece la tendenza, propria del senso comune, a spiegare i
fatti sociali in termini individuali.
Per Durkheim,, bisogna partire dall'assunto
che la società, con le sue istituzioni trascende
l'individuo e gli sopravvive; non si tratta pertanto di ricondurre la
dimensione sociale a quella individuale, ma piuttosto di riconoscere che
sull'individuo operano "tendenze collettive", cioè condizioni o concezioni
comuni all'intera società, in grado di guidare le sue azioni e i suoi pensieri,
allo stesso modo.
GLI STUDI DEL SUICIDIO
All'esemplificazione di questa idea, Durkheim dedica la sua opera più famosa "II suicidio.
Studio di sociologia (1897). "
Basandosi su una consistente raccolta di dati
empirici e
sull'uso sistematico, di strumenti statistici,
Durkheim cerca di leggere il fenomeno delle morti volontarie, come un fatto eminentemente "sociale".
Secondo Durkheim, si trasformano in "cause suicidogene" solo in
presenza di condizioni sociali tali da rendere quelle circostanze
intollerabili per l'individuo.
Durkheim distingue a questo proposito 3
condizioni fondamentali:
1. quando l'integrazione sociale è debole e
l'individuo finisce per far capo solo a se stesso, affermando «l'io individuale a danno di quello sociale», si verifica il cosiddetto suicidio egoistico.
2. quando l'individuo fatica a trovare la propria individualità e ripone la propria es-senza in un valore collettivo più alto, ad esempio in una fede religiosa, si ha il suicidio
altruistico;
3. quando viene meno il
potere morale della società di disciplinare le passioni dell'individuo, tanto
che manca il giusto limite ai suoi desideri e alle sue aspirazioni, si verifica
quello che Durkheim chiama suicidio «anomico»
Questa
classificazione è fatta su basi sociali: egoismo, altruismo e anomia non
indicano disposizioni interiori delle persone, ma specifiche tendenze
collettive in grado di agire dall'esterno sugli individui.
UNA STRATEGIA DI DIFESA: L'APPELLO ALLA SOLIDARIETA' "ORGANICA"
Secondo Durkheim, occorre partire proprio da qui,
cioè dalla consapevolezza che sull'individuo operano tendenze collettive per
attuare misure preventive nei confronti dei suicidi: è necessario promuovere la coesione sociale, cioè la solidarietà e rafforzare la coscienza
collettiva, definita dallo studioso come «l'insieme di credenze e di sentimenti
comuni alla media dei membri di una società».
Realizzare tutto questo è
relativamente semplice nelle società preindustriali, caratterizzate da quella
che Durkheim chiama solidarietà meccanica, fondata cioè sulla somiglianza di
tutti i membri della comunità a un tipo sociale unico, e quindi sull'esistenza
di individui Indifferenziati", paragonabili alle molecole dei corpi
inorganici.
Più complessa, invece, è la questione della solidarietà nelle
società complesse, dove l'alto grado di differenziazione degli individui indebolisce
inevitabilmente la coscienza collettiva, anche se questo non significa che una
forma di solidarietà non sia possibile e che gli unici vincoli tra gli individui siano di tipo esteriore e contrattuale
Nelle società complesse c'è una possibile tipo di
coesione, definita da Durkheim solidarietà organica, fondata cioè sulla
coscienza che la società è un organismo in cui, in virtù della divisione del
lavoro, tutti sono mutuamente interdipendenti.
WEBER: LA SOCIOLOGIA COME STUDIO DELLE AZIONI SOCIALI
Comte e Durkheim,condividono la convinzione secondo cui la sociologia è scientifica poiché
utilizza i metodi e i modelli consolidati e rigorosi delle scienze naturali.
L'idea di un'analogia tra la conoscenza dei
fatti umani e quella delle realtà naturali è messa in disciussione da diversi
settori della cultura.
L'opera di Max Weber può essere letta come il tentativo di superare l'opposizione
tra la concezione positivista della sociologia e i
nuovi modelli interpretativi che provenivano dalla cultura tedesca a lui
contemporanea.
Weber accoglie l'idea della specificità delle
scienze umane: esse infatti non si occupano di 'cose" o di strutture
sociali, ma di azioni umane, che come tali rimandano a un soggetto cosciente,
in grado di compierle intenzionalmente e di conferire loro un certo
significato.
Oggetto della sociologia, secondo Weber, sono in particolare le
«azioni sociali», cioè quei comportamenti individuali che dal punto di vista
soggettivo hanno un significato sociale, nel senso che sono influenzati dalla
presenza di altri individui o da ciò che il soggetto agente si aspetta da
loro.
LE TIPOLOGIE DELL'AZIONE SOCIALE
Weber classifica le azioni sociali in 4 specifiche
tipologie:
1. azioni
strumentali, quando si tratta di azioni che il soggetto decide razionalmente di
compiere in vista di un determinato scopo;
2. azioni
morali, quando il soggetto sceglie una cena azione guidato da un principio
etico oppure da un valore;
3. azioni tradizionali, nel caso in cui si tratti di azioni che riflettono
abitudini consolidate o regole sociali seguite in modo automatico;
4.azioni affettive, quando le
azioni nascono da semplici bisogni emotivi del soggetto.
LA DOTTRINA DEL "TIPO IDEALE"
La necessità di interpretare i fenomeni sociali come il
risultato dell'agire umano e del senso che gli individui danno alle azioni
proprie e altrui non implica tuttavia, per Weber, la rinuncia al compito proprio
di ogni conoscenza scientifica, ossia alla costruzione di modelli generali per
spiegare un certo fenomeno.
Le scienze umane procedono attraverso la
costruzione di tipi ideali, cioè di modelli interpretativi generali, che il
ricercatore elabora a partire dalla realtà empirica selezionando o accentuando
determinati aspetti di questa realtà, al fine di creare una configurazione più
unitaria e coerente.
ll tipo ideale funziona quindi come un modello di riferimento rispetto al quale inquadrare i singoli casi, che si
offrono all'osservazione e alla comprensione dello studioso; è utile per stabilire
confronti e correlazioni, analogie e differenze tra i fenomeni oggetto di
ricerca.
La nozione di tipo ideale può essere efficacemente utilizzata
anche in rapporto alla classificazione delle azioni sociali che poco sopra
abbiamo schematizzato.
Solo astrattamente esistono azioni
°soltanto" morali, azioni 'soltanto" strumentali, e cosi via; le
concrete scelte degli individui sono spesso una mescolanza di queste diverse
categorie, che comunque restano valide. come criteri di riferimento, per comprenderle
e interpretarle.
LA LETTURA WEBERIANA DELLA MODERNITA'
Animato
dall'intento di comprendere il inondo in cui si trova a vivere, Weber cerca di
interpretare il cambiamento che ha investito la società occidentale a partire
dall'età moderna e che egli sintetizza nel concetto chiave di
razionalizzazione.
Con questo termine Weber intende il progressivo affermarsi,
nella cultura occidentale, della consapevolezza che «tutte le cose possono - in
linea di principio - essere dominate dalla ragione», ovvero che "se solo
lo si volesse, si potrebbe sempre giungere a conoscenza".
Questo processo
si accompagna a ciò che l'autore definisce disincantamento del mondo, cioè al
venir meno degli aspetti magici e religiosi della vita: la riduzione della realtà
a un complesso di dati razionalmente comprensibili e tecnicamente manipolabili, e mette fuori gioco il concetto stesso di forze oscure e soprannaturali,
ritenute superiori all'uomo e al suo potere di comprensione.
Secondo Weber, il processo di
razionalizzazione ha modificato profondamente l'esistenza umana, conducendo a
un'organizzazione della vita sociale, la nascita della burocrazia e l'affermarsi dell'economia
capitalista, che pianifica in modo sistematico l'attività produttiva,
calcolando razionalmente gli investimenti in vista dei profitti.
PARETO: L'AGIRE UMANO TRA LOGICA E NON LOGICA
Un contributo alla nascente scienza della
società proviene da Vilfredo Pareto.
Per Pareto la sociologia non è una disciplina specifica e distinta, ma un corpus
di concetti e dottrine che riguardano, in generale, la società, il diritto, la
morale e la politica.
Il fulcro di tali questioni è - per Pareto come per Weber
- l'agire umano, che Pareto tuttavia classifica in modo diverso e originale .
Secondo il sociologo italiano le azioni umane possono essere:
- logiche, cioè azioni in cui la connessione tra «mezzi» e «fini»
presente nella mente del soggetto agente ha una rispondenza oggettiva nella
realtà,
-non-logiche, cioè azioni in cui questa rispondenza manca.
Tuttavia, mentre la
prima azione è logica, perché istituisce un nesso empiricamente riscontrabile,
la seconda non lo è, perché il nesso che istituisce esiste solo nella mente del
marinaio stesso.
Definire un'azione
"non-logica" non significa ritenerla risibile o priva di significato:
- la
distinzione tra logico e non-logico è spesso
un'astrazione,
- le scelte non-logiche, pur
non essendo l'esito di un ragionamento, hanno un qualche fondamento: esse
scaturiscono da ciò che Pareto chiama «residui», cioè da
quegli impulsi e da quegli stati emotivi di base a cui la natura umana
obbedisce, e dalle «derivazioni», ossia dalle
razionalizzazioni che, a posteriori, l'essere umano adduce a sostegno della sua
condotta.
Secondo Parete, è impossibile comprendere il mondo sociale
senza tenere conto delle azioni non-logiche e dell'universo simbolico in cui esse affondano le loro radici.
L'identificazione della sfera non-logica con l'ambito in cui il legame
soggettivo tra mezzi e fini non coincide con un nesso oggettivamente esistente
conduce lo studioso a una conclusione interessante. Può accadere, che un'azione non-logica compiuta dal soggetto per un
determinato scopo si riveli in realtà funzionale al conseguimento di un altro
obiettivo, non intenzionalmente perseguito dal soggetto ma logicamente
implicato nella sua scelta.
Distinguendo tra il legame oggettivo mezzi-fini e il legame percepito
soggettivamente dall'individuo agente, Pareto accoglie implicitamente il
principio dell'eterogenesi dei fini, formulato pochi anni prima dallo psicologo
tedesco Wilhelm Wundt, e lo estende dalla vita psichica individuale
all'intera realtà sociale.
Nella sua formulazione più generale, tuttora sottoscrivibile
da ogni attento studio della società, tale principio è sintetizzabile in questi
termini: gli effetti più importanti delle intenzioni vanno spesso al di là delle finalità
intenzionalmente perseguite dai loro autori, e pertanto la realtà sociale non
può essere compresa unicamente partendo dagli scopi che gli individui
perseguono o dai valori in base ai quali orientano il loro agire.
LA SCUOLA DI CHICAGO
A Chicago
viene fondata l'università, all'interno della quale nasce il primo
Dipartimento di sociologia degli Stati Uniti, è in questa struttura che prende
forma la prima vera e propria riflessione sociologica sulla città, sviluppata
dagli studiosi di quella che ancora oggi è conosciuta come "Scuola di
Chicago".
La Scuola di Chicago faceva capo a due sociologi in particolare:
William Thomas e, soprattutto, Robert Park.
Per via
dello stretto legame che unisce la nascita della sociologia alla società
industriale e quest'ultima allo sviluppo della civiltà urbana,
possiamo dire che la città costituisce fin da subito un oggetto privilegiato
della ricerca sociologica.
Nello specifico, ciò su cui si concentra l'attenzione degli studiosi è la
peculiarità del "vivere" urbano, capace di stravolgere modalità
consolidate di socialità e interazione .
Park muove
dall'assunto che anche i fenomeni sociali debbano essere compresi in relazione
a quei meccanismi di competizione, selezione e adattamento che, secondo la
biologia, sono alla base del rapporto tra gli organismi e il loro ambiente:
questa prospettiva interpretativa viene detta "ecologia umana".
Secondo Park,
anche la città va studiata in quest'ottica: si tratta di capire come i
meccanismi suddetti intervengano nell'occupazione dello spazio urbano e nella
definizione dei rapporti tra gli individui che lo abitano.
Nel saggio " La città: indicazioni per Io studio del
comportamento umano nell'ambiente urbano" Park si interroga in
particolare sulla direzione che il modo di vita urbano imprime ai comportamenti
umani e alle relazioni tra gli individui.
Nota come la divisione
del lavoro conseguente all'urbanizzazione abbia creato nuove figure
professionali e nuove istituzioni e organizzazioni che sostituiscono le
tradizionali reti di relazione tra le persone.
Queste nuove realtà creano a loro volta nuovi "tipi" umani e nuove
dinamiche relazionali.
Park afferma che l'ampiezza della
popolazione urbana comporta per forza di cose una grande eterogeneità e l'affermarsi di condotte anticonformiste, che in altri contati
sarebbero scoraggiate dalla disapprovazione sociale.
I diversi tipi umani che vivono nella città tendono a dare vita a
tanti piccoli "mondi" sociali, fisicamente vicini tra loro ma
culturalmente distanti.
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